Il concone sui Lepini, ha fatto la storia ed era nel corredo della donna. Non è trascorso molto tempo dal dopoguerra, quando per via dei bombardamenti o per arretratezza, non c’era acqua in casa. Anche prima, la miseria era tanta e il lavoro delle donne era faticosissimo.
Il concone sui Lepini
Avere gli allacci dell’acqua in casa era un grande lusso. Tantissime, a parte le benestanti, dovevano andare pressappoco tutti i giorni ad approvvigionarsi d’acqua per tutti gli usi domestici. Naturalmente il bucato lo facevano sempre ai fontanili o al fiume, ma la conca serviva comunque. Il contenitore principe era lo stesso per tutto il Lazio e direi anche nei dintorni.
Era la conca di rame, detta concone o Jo concòne. Questo grande concone, era quasi un prolungamento della donna stessa e ricorda nelle fattezze il corpo stesso della donna. Stilizzata la figura si delinea con le mani sui fianchi e la vita stretta. Così si abbigliava un tempo la donna del Lazio. La conca ricorda anche quella di una sorta di clessidra. Si presenta con una pancia molto ampia e aveva una capienza di circa 10 litri, che equivalevano a circa dieci chili da trasportare.
Jo concone
Il collo della conca laziale è piuttosto stretto e serviva per non far disperdere l’acqua nel trasporto. Diversamente da quello abruzzese che è largo. In alto poi c’è un collo, come una tesa a forma di scodella per accogliere il getto d’acqua della fontana per tornare a casa, le donne mettevano la conca sulla testa. Facevano una scodellina rotonda, la “coroglia” e sopra mettevano la conca piena, che restava in equilibrio. Jo concone dei Lepini, e del Lazio in generale, era quindi molto aggraziato e si distingueva da quello abruzzese anche per i manici.
Quelli del Lazio erano attorcigliati, per una migliore presa, mentre quelli abruzzesi erano lineari. Questo utensile, oramai desueto, passato in cavalleria, è stato quindi per moltissimo tempo un oggetto essenziale nella vita casalinga delle generazioni che ci hanno preceduto per secoli. Non era raro che sul concone s’incidesse il nome della donna che lo deteneva.
I callarari e il ramaio
Era utile per evitare liti ai fontanili, evitando di confondere le varie conche nella fila per l’approvvigionamento d’acqua. A volte i conconi si lasciavano in fila e si andava a stendere il bucato sui cespugli o si facevano altre commissioni. Comunque le liti c’erano ugualmente, poiché il concone si ammaccava facilmente, bastava un calcio o un sasso. Di storie di donne che si prendevano per i capelli alle fontane ne sopravvivono eccome!
Tornando al concone, un tempo si acquistava in botteghe di artigiani che lavoravano il rame. Alcuni li chiamavano “callarari”. Il Concone essendo indispensabile, era diffuso capillarmente, in ogni paese e casa, e l’arte di chi lavorava il rame, era preziosissima, perché faceva le riparazioni. Tuttavia esistevano anche gli artigiani ambulanti che andavano di paese in paese per vendere, ma anche per riparare pentole e utensili. Esisteva lo “stagnino”, che aveva anche lui una grande importanza.
Lo stagnino e il concone sui Lepini
Quando si rompeva un mestolo, serviva una saldatura. Lo si poteva trovare con un carrettino e una bancarella da qualche parte. Aveva una piccola “fucina” portatile che andava o a legna o più spesso a carbone. Le donne andavano da lui con padelle, caffettiere napoletane, coperchi e pentole o imbuti da saldare. Sovente usando una lamiera di ferro dolce, duttile e dello stagno che fondeva, faceva delle eccellenti riparazioni. Era sempre annerito di fuliggine e sembrava uno spazzacamino, ma era prezioso. Tuttavia, ci si rivolgeva allo stagnino se non c’era nei paraggi il “ramaio”, che arrivava accompagnato dal tintinnio del rame per richiamare l’attenzione della clientela. Il ramaio che costruiva pentolame da cucina, quegli utensili nobili, era molto ricercato e la sua arte era considerata nobile. Il ramaio ambulante, principalmente provvedeva alla riparazione delle pentole bucate. Anche lui aggiustava casseruole, tegamini, padelle, ma anche secchi per attingere l’acqua.
Oro alla Patria
Anche gli uomini si rivolgevano a lui per riparare le pompe per irrorare i vigneti. Quindi in passato, oltre a jo concone, gli accessori di rame, teglie, mestoli, o scolapasta, facevano parte del corredo della donna. Poi arrivò la plastica, più leggera, e quegli antichi mestieri sono scomparsi. Nel nostro territorio è interessante ricordare che nel 1936 il governo diede il via alla campagna “ORO ALLA PATRIA” per finanziare le guerre coloniali. Molti donarono l’oro come i miei bisnonni ed erano fieri di mostrare la vera matrimoniale in alluminio. Donarono molto rame in una quantità incredibile, confermando l’amor patrio del nostro popolo.
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