Bucce di kiwi che diventano plastica bio, un’idea rivoluzionaria che è nata nel sud del Lazio. Sappiamo del resto che tra le principali fonti di avvelenamento dei mari e del pesce che finisce sulle tavole c’è la plastica.
Bucce di kiwi per plastica bio
Quello che era un tempo il materiale rivoluzionario che doveva migliorarci la vita, sta finendo con l’avvelenarcela. Eppure si può però produrre una plastica bio, che quindi non inquina. Inoltre è possibile farlo in un’economia circolare, usando ad esempio latticini scaduti, scarti dei kiwi e della canapa. Quest’ultimo frutto, presente oramai nei mercati e nei supermarket italiani vale oro. Pensate che l’Italia, con oltre 400 mila tonnellate annue, è prima nella produzione europea di kiwi.
Quel che forse non tutti sanno è che tale frutto è in realtà una bacca. In ogni caso, una parte di essi va sui mercati esteri, mentre una gran parte resta sul mercato italiano. Negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di studi scientifici che cercano di ridare valore a quegli scarti agricoli che sono ricchi di componenti bioattive e che potrebbero quindi avere un utilizzo, invece di finire in in discarica.
Plasmilk – Plasta Rei
In quest’ottica si è delineato il progetto Plasmilk. Siamo nella provincia di Latina e a capo del progetto c’è l’imprenditore Francesco Borgomeo. Ci sono stati vari steep, come dell’azienda Nalco di Cisterna, facendola diventare “Plasta Rei”. L’obiettivo di produrre plastica che non inquini, all’interno della Plasta Rei di Cisterna, con i prodotti di scarto è una vera rivoluzione. L’idea di utilizzare tutto lo scaduto di latte e derivati, tutti gli scarti della catena alimentare e dalla grande distribuzione, potrebbe cambiare molto la nostra vita.
In quest’ottica è importante l’esperienza e il sapere di un’azienda chimica come la ex Nalco. Si vuole produrre una plastica che non inquini più il mare e la terra attraverso componenti presenti sul territorio, puntando a recuperare plastica sfruttando l’esperienza nella chimica. Essere pionieri, depositare un brevetto e invadere pacificamente il mercato internazionale è molto più importante di quanto si possa immaginare.
Crush Kiwi
Ma non è tutto, perché possono anche finire nella filiera alimentare, in quella della cosmetica e nel comparto farmaceutico, molto altri scarti. Quel che forse non tutti sanno è che in Italia esiste una filiera virtuosa di recupero degli scarti anche in questo senso, riguardo la lavorazione di questo particolare frutto. Tra i processi di lavorazione che spesso subiscono i kiwi prima di arrivare sui banconi di frutta e verdura, specie per la grande distribuzione, vi è la rimozione della caratteristica peluria.
Quest’ultima spesso infastidisce gli acquirenti al tatto e, pertanto, diviene materiale di scarto. Tale residuo si può recuperare e utilizzare nella produzione del “Crush Kiwi”. Si tratta di una carta ecologica ottenuta impiegando ciò che, fino a pochi anni fa, era solo uno scarto. Ora, invece, viene impiegata come packaging o per diversi tipi di altri materiali cartacei.
Bucce di kiwi per plastica – eccellenze del sud Lazio
Tutto ciò comporterebbe una riduzione degli sprechi dal punto di vista ambientale, una valorizzazione economica di ciò che invece solitamente finisce in discarica nella piena applicazione dei principi dell’economia circolare. Ognuno di noi può fornire il proprio contributo per dare nuova vita al più tipico degli scarti del kiwi: la buccia. Evitiamo di gettarla nell’indifferenziata, ma, al contrario, buttiamola nella compostiera domestica o nella raccolta dell’organico per far tornare il tutto – insieme agli altri residui di umido – a nuova vita sotto forma di ammendante e di concime per il terreno