La transumanza tra L’agro Pontino e la Ciociaria non ha mai conosciuto i confini che oggi le amministrazioni delineano nella modernità. Non solo non c’erano certi confini, ma culturalmente, nei costumi, il territorio era unito da una ricchezza di flora, fauna, e paesaggi, che oggi vanno scomparendo.
La transumanza tra Agro Pontino e Ciociaria
In Agro pontino, giungevano tanti pastori transumanti, che facevano un bel cammino dalle colline di Supino, Morolo, Carpineto, Guarcino, Gorga, Filettino. La transumanza nel Lazio quindi, dai monti al mare ha una storia atavica. La transumanza “lunga” costringeva gli uomini ad attraversare i monti dalla Ciociaria fino alle dolci pianure dell’Agro Pontino.
I pastori facevano questo tragitto due volte l’anno e impiegavano dagli otto ai dieci giorni. Dall’alto, dal fresco, arrivavano e nel tempo, sono diventati pressoché stanziali grazie al clima mite e per via dei grandi pascoli. La transumanza è una pratica un po’ senza tempo, fatta di migrazione, solitudine, greggi, lavoro mandrie e tratturi non sempre agevoli. Tuttavia questa pratica resiste ancora e nel 2019 l’Italia, candidata con la transumanza a patrimonio immateriale dell’Unesco, ha vinto! Molti nel Lazio, avranno nel vocabolario di famiglia il termine “caciara”, senza sapere da dove arrivi.
La caciara
Si tratta di un termine legato ai pastori e nell’Agro Pontino bonificato la caciara era a Pantanaccio. Lì vicino c’era l’unica osteria di Littoria dove i pastori provenienti dalla Ciociaria, assetati, si rifocillavano e dai a far “caciara”. Sarà capitato che facendo confusione, qualcuno avrà detto “non fate caciara”! Il termine deriva da “caciaia”. Non era altro che il locale, o la capanna, dove i pastori producevano, e ancora oggi lasciano stagionare i loro formaggi.
Queste capanne, anzi caciare, si trovano un po’ in tutta l’Italia Centrale fra Lazio, e sono davvero capanne basiche, molto “minimal”, come si dice oggi. Si costruiscono a secco, in semplice pietra, con legno e paglia. Dovevano essere arieggiate e senza ristagni. Queste caciare per alcuni periodi dell’anno, erano affollate di pastori, piene di attrezzi, provviste e si armeggiava per i formaggi da fare e stagionare.
Pastori del Lazio maestri casari
Con tanto via va, le liti erano all’ordine del giorno. Del resto fare delle caciare più grandi non sarebbe stato pratico, per via del tempo e dei materiali. Quindi ci si azzuffava e non era raro venire alle mani. Da qui è nato il modo di dire “fate troppa caciara”. Inoltre, nella caciara i formaggi si percuotevano con le mani, e si rivoltavano, facendo un bel rumore che rimbombava non poco. I pastori che scendevano nelle pianure erano grandi lavoratori. Dovevano costruire recinti, badare al bestiame, procurarsi dei ripari e portavano al pascolo ogni genere di animale. Curavano pecore, capre, vacche, cavalli e maiali. Come ancora oggi possiamo vedere, i pastori ciociari erano bravissimi casari e tanti di loro sono rimasti nell’agro pontino, dove continuano la tradizione.
La transumanza tra Agro Pontino e Ciociaria – mozzarelle di bufala
Specializzati nella lavorazione del latte e nella produzione di formaggi freschi e stagionati, hanno fatto fortuna. E poi dal profumo del mare, si tornava ai monti o solo nell’altura delle colline. Si risaliva verso i pascoli in quota, dove laghetti e pozze d’acqua fresca per agli animali, sono un ristoro e una benedizione. La tradizione ancora resiste e ci sono anche delle sagre legati ai latticini. , anche gare di cavalieri-butteri. I ciociari si sono mostrati anche provetti agricoltori e artigiani.
