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Antonio Pennacchi, figlio dell’Agro Pontino

Antonio Pennacchi - Premio Strega con il ricevente

Antonio Pennacchi ci ha lasciati, ma non è poco ciò che “ci ha lasciato”. Pennacchi era un combattente, un fascio di nervi pronti a esplodere e a infervorarsi per una buona causa; uno scrittore forgiato nel sentimento e impregnato di talento. Umbro da parte di padre e veneto di Rovigo da parte di madre, sapeva cos’era il duro lavoro; lo aveva scolpito in quelle mani, prima come operaio per trent’anni e poi come scrittore.

Antonio Pennacchi

La sua famiglia arriva nell’Agro Pontino per la bonifica. Una famiglia numerosa con sette figli cresciuti con pane e sacrifici. Antonio inizia presto a fare l’operaio all’Alcatel Cavi di Latina e ci resta per oltre trent’anni. Si dedica anche alla politica fin da adolescente, ma riesce a farsi espellere da qualunque associazione e forse per questo; per essere stato cristallino come certe acque del Delta del Po da cui discende, lo abbiamo amato di più.

Antonio Pennacchi - ritratto fotografico sorridente

Lascia infine la politica, ma non lascia scorrere invano il tempo della cassa integrazione. Decisamente fumantino, era un uomo tutto di pancia; lui lo scrittore premio Strega nel 2010 con Canale Mussolini, un successo sudatissimo. Aveva solo 71 anni, tuttavia, due infarti e tre by pass sono scomodi come compagni di viaggio. Si laurea in lettere e la scrittura “lo chiama”, lo cattura e gl’impone di mettersi a sedere perché è lui “il prescelto”.

Bonifica Pontina

Lui lo capisce e lo percepisce come un dovere dall’inizio; come il fine e lo scopo per cui è venuto al mondo e lo esterna. Sempre in salita, come sempre è il romanzo d’esordio, “Mammut”, che riceve 55 rifiuti da 33 editori; prima d’arrivare in libreria per Donzelli. Eppure il libro vince il Premio del Giovedì. Nel 1995 arriva Palude, vincitore del Premio Nazionale Letterario Pisa, dedicato alla sua città, e Una nuvola rossa.

Prato - Agro Pontino sullo sfondo
fonte foto – CC BY-NC-ND 2.0 license.

Pennacchi non dimentica, assaporando nell’aria il profumo dell’eucalipto e d’essere figlio di chi ha dissodato quelle terre e di quelli che hanno tirato su Latina. Ama fortemente, vive con quella sua eterna sciarpa rossa e la sua coppola inconfondibile. Poi arriva Il fasciocomunista che è un successo, da cui nasce il film Mio fratello è figlio unico, con Riccardo Scamarcio ed Elio Germano. Intanto Antonio Pennacchi non perde grinta, non si adagia sui successi, al contrario.

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi

Pennacchi non si piega e certe convenzioni, lui è sempre il marito di Ivana; la ragazza che conobbe indomita davanti al camion che avrebbe potuto travolgerla. Lì, folgorato, comprese che era la donna della sua vita e fece di tutto per conquistarla. Insieme andarono con la 127 a lasciare i manoscritti a mano agli editori di Milano, perché chi ama lo fa. Forse quel suo “folle cuore” batteva solo per lei.

Villa Giulia - Giuria Del Premio Strega al lavoro
a CC BY-NC-SA 2.0 license.

Canale Mussolini è stato probabilmente la sua consacrazione, ovvero il romanzo che vince il premio Strega nel 2010. Era davvero felice quel giorno, lui, incontenibile, spesso sopra le righe, a tratti assolutamente irresistibile. Il romanzo è sulla bonifica dell’Agro Pontino. L’autore capisce che si tratta dell’opera per la quale è venuto al mondo; la sua missione. Vince anche il Premio Acqui Storia come “romanzo storico dell’anno”, il Premio “Libro dell’anno” del TG1 ed è stato finalista al Premio Campiello.

Fasciocomunista

Successivamente dichiara: “Scrivere non mi piace. È una condanna. È come se quando sono nato mi fosse stato dato il compito di raccontare la mia famiglia, il podere, la nostra storia. Lo capii nel ’56, in prima elementare”. Lui, trasversale in politica, umano, buono e carnalmente intellettuale. Aveva in se un po’ quella unica “saudade” tipica del veneto trapiantato nel Pontino.

Antonio Pennacchi - foto dello scrittore
fonte foto – pag. Facebook Pennacchi

La stessa nostalgia, incastrata in una lacrima che non vuole scendere, che provano i veneti in Venezuela o in Argentina. E sentiva quella fatica Pennacchi. “Finirà quando me ne andrò. O quando con la testa e non sarò più in grado di lavorare. Anche se mi sono stufato, avrei tanta voglia di smettere… Non è un piacere scrivere, ma dolore”. Ciao Antonio, un grazie per il tuo cuore folle e buono non basta e allora i tuoi libri, li terremo stretti al petto, chi scrive sa quanto costa fatica!

Antonio Pennacchi, figlio dell’Agro Pontino ultima modifica: 2021-08-05T06:00:00+02:00 da Redazione

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